lunedì 1 aprile 2013

A data da destinarsi

Commossa e onorata, ringrazio di cuore Jumbolo e Monty che, nell'ambito del Liebster Award, hanno voluto riservare una nomination anche a questo mio evanescente blog. Allo stesso tempo, tuttavia, l'immeritato riconoscimento mi costringe a prendere atto di quanto questo diario virtuale mi sia diventato estraneo e dunque obsoleto. Il duro percorso della malattia ha indubbiamente fatto di me un'altra persona, e ritornare su queste pagine mi fa sentire ogni volta inadeguata e fuori tempo massimo: come uno studente che, preparando il necessario per partire alla volta di una università lontana, si guarda in giro e sorride alla vista dei pupazzi di peluche sparsi per la stanza. Non so esattamente cosa significhi, ma è così che mi sento. Il senso di inadeguatezza mi rende taciturna; recitare una parte non è nel mio stile. La persona che sono diventata e che sto diventando non ha ancora un'identità precisa, perciò bisogna che io chiuda questa stanza per evitare malintesi, per non generare ulteriori ambiguità. Credo che un giorno ritornerò, perché di solito il vizio di scrivere non mi abbandona mai troppo a lungo, ma sconsiglio vivamente l'attesa.

Saluto i miei quattro lettori e i miei due estimatori - che naturalmente non smetterò di seguire con affetto e interesse - con questo video che, pur non avendo assolutamente nulla a che fare con quanto detto sopra, io trovo irresistibile. A ben pensarci, però, la storiella apparentemente banale di questo adorabile cucciolo di orso polare mi affascina così tanto perché, più in generale, ha a che fare con la sorte, la fragilità, il rapporto tra protezione e libertà. Hai detto niente.



P.S. Questo post non è un pesce d'aprile.

martedì 12 febbraio 2013

A zonzo dopo la fisioterapia

A Varese, in luogo di una fantasiosa boutique della carta, hanno aperto un negozio di cremazioni. Così c'è scritto sull'insegna: Cremazioni. Benché ammirata di tanta semplice compostezza, mi rammarico che nella vetrina di un negozio così ci si possa mettere ben poco.
Intanto il Globe Cafè (che da qualche settimana ha la ventura di essere vicino di casa del Maroni-Point) mi sembra stia diventando un locale finto-alternativo, vale a dire un posto per fighetti che si travestono da intellettuali. In ogni caso fanno bene questi studenti che si godono la vita e i soldi dei genitori così, facendo comunella in un caffè chic del centro. Io ai tempi dell'università mi contavo in tasca i soldi per le fotocopie e il pezzo di focaccia quotidiano e infatti si vede dove sono arrivata. 
In ogni caso anche quest'ultima perturbazione è stata risolta con una certa efficienza e, come al solito, io ero l'unica a circolare in città con la macchina ancora glassata di neve.
 

lunedì 11 febbraio 2013

A Sylvia (27/10/32 - 11/02/1963)

Le colline digradano nel bianco.
Persone o stelle
mi guardano con tristezza, le deludo.

Il treno si lascia dietro una riga di fiato.
Oh lento
cavallo color della ruggine,

zoccoli, dolorose campane -
È tutta la mattina che
la mattina sta annerendo,

un fiore lasciato fuori.
Le mie ossa racchiudono un'immobilità, i campi
lontani mi sciolgono il cuore.

Minacciano
di lasciarmi entrar in un cielo
senza stelle né padre, un'acqua scura.

Sylvia Plath, Pecore nella nebbia
2 dicembre 1962, 28 gennaio 1963

(traduzione di Anna Ravano)

martedì 8 gennaio 2013

domenica 6 gennaio 2013

Giorno di festa

All'uscita dal cinema, la città mi è sembrata improvvisamente straniera: il tiepido celeste primaverile era stato sostituito da uno scenario severo punteggiato di luminosità geometriche. Le mille auto deserte parcheggiate lungo i marciapiedi facevano pensare all'improvvisa dissipatio del genere umano. Come se durante la proiezione del film una forza oscura avesse risucchiato l'umanità. Le luminarie delle feste pendevano inutili, sfarzosamente fuori luogo. Niente luci alle finestre e negozi chiusi. Su tutto l'incongruo tepore di primavera e il senso di una solitudine irrimediabile veicolato dal film.
 

martedì 25 dicembre 2012

Christmas blues

Osservo la pioggia, leggera come polvere, mangiarsi impercettibilmente la polpa bianca di una neve vecchia e ostinata. Due giorni fa, lunghe file di auto in coda all'autolavaggio: a che scopo?, mi chiedevo. Bisogna avere l'auto lustra per andare a pranzo dai parenti? O per caricarsi di cibarie al supermercato? E quanto si può arrivare a mangiare? Di quanto di tutto quel cibo abbiamo davvero bisogno?
Natale è un giorno triste sempre, anche quando, come oggi, scelgo di disertare pranzi e aspettative altrui, restando al di qua del vetro ad osservare la pioggia.  Nella bruma incolore si agitano le contese degli uccelli per le ultime delizie d'inverno.

domenica 25 novembre 2012

Le anime morte - II

Quando ho appreso la notizia dell'incendio divampato in una fabbrica tessile in Bangladesh ho pensato immediatamente ai miei nuovi pantaloni di velluto color melanzana, acquistati da Benetton per € 29.95: sono stati prodotti in Bangladesh, forse proprio nello stesso edificio andato in fiamme ieri, o comunque in un casermone analogo, sprovvisto di sistemi di sicurezza, da donne sottopagate. È il genere di abbigliamento che le persone con un reddito medio-basso come il mio (cioè la stragrande maggioranza degli europei, par di capire) si può permettere. Mi sono sentita minuscola e impotente, infimo ingranaggio di un meccanismo inarrestabile; vittima e complice al tempo stesso, mi sono ricordata di questo passo de La Peste di Camus: 
"Da tanto tempo ho vergogna, vergogna da morirne, di esser stato, sebbene da lontano, sebbene in buona fede, anch'io un assassino. Col tempo, mi sono semplicemente accorto che anche i migliori d'altri non potevano, oggi, fare a meno di uccidere o di lasciar uccidere: era nella logica in cui vivevano, e noi non possiamo fare un gesto in questo mondo senza correre il rischio di fare morire. Sì, ho continuato ad aver vergogna, e ho capito questo, che tutti eravamo nella peste; e ho perduto la pace. Ancor oggi la cerco, tentando di capire tutti e di non essere il nemico mrtale di nessuno. So soltanto che bisogna fare quello che occorre per non essere più un appestato, e che questo soltanto ci può far sperare nella pace o, al suo posto, in una buona morte. Questo può dar sollievo agli uomini e, se non salvarli, almeno fargli il minor male possibile e persino, talvolta, un po' di bene. E per questo ho deciso di rifiutare tutto quello che, da vicino o da lontano, per buone o per cattive ragioni, faccia morire o giustifichi che si faccia morire."
 (Traduzione Beniamino Dal Fabbro, Bompiani)